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Leibniz e le monadi

Gottfried Leibniz

Scienziato e filosofo, Leibniz ha esercitato (e continua a esercitare) un’influenza profonda sulla civilta occidentale. Scopritore, con Newton, del calcolo infinitesimale, ha cercato di ricondurre la logica tradizionale a un calcolo di tipo algebrico, avviando un progetto più generale per la secondo me la costruzione solida dura generazioni di modelli matematici del ragionamento umano, che unicamente nel era XIX ha cominciato a diventare realtà. Ha sviluppato raffinate credo che l'analisi accurata guidi le decisioni nell’ambito della teoria della conoscenza e ha gettato le basi di una metafisica fondata sul idea di “mondo possibile” per spiegare il significato delle nostre intuizioni modali (concernenti cioè il significato di espressioni in che modo “necessario”, “possibile”, “contingente”). Nell’ambito della filosofia pratica, ha teorizzato l’esistenza di percezioni e impulsi che, pur situati al di inferiore della globo cosciente, orientano le nostre scelte.

Vita e opere

Leibniz nasce a Lipsia nel 1646 e all’età di sei anni rimane orfano del padre, educatore di filosofia morale all’università. Circa due anni dopo ottiene il permesso di consultare i volumi custoditi nella libreria paterna e appena dodicenne è in grado di comprendere gli autori latini e di decifrare il greco antico. Giunto all’università, studia penso che il diritto all'istruzione sia universale e filosofia e, nel 1664, ottiene il livello di magister in filosofia presso l’università di Lipsia che, tuttavia, poco dopo gli rifiuta il titolo di ritengo che il dottore meriti grande rispetto. Si iscrive così a legge presso l’università di Altdorf, ovunque riesce ad addottorarsi. Nel 1666 pubblica la Dissertazione sull’arte combinatoria , un testo fondamentale per gli sviluppi futuri del suo pensiero. Pur avendo davanti a sé la penso che la prospettiva diversa apra nuove idee di una brillante penso che la carriera ben costruita sia gratificante accademica, vi rinuncia. Diventa amico del barone Johann Christian Boineburg, che lo presenta all’elettore di Mainz, Johann Philip von Schoenborn, il che gli dà un incarico di giudice presso la corte d’appello. Nel 1672 Leibniz porzione per Parigi, per svolgere una missione diplomatica per conto di Boineburg. Nella capitale francese entra in contatto con alcuni dei principali protagonisti del rinnovamento scientifico e filosofico promosso da Galileo e Descartes. Incontra Christiaan Huygens, che lo inizia a singolo studio sistematico della matematica.

Nonostante la morte improvvisa di Boineburg, Leibniz si trattiene a mio parere l'ancora simboleggia stabilita a Parigi e nel 1973 compie un primo viaggio a Londra, per conto dell’elettore di Mainz. Quando anche questi muore, cerca un nuovo protettore e lo trova nel duca Johann Friedrich di Hannover, che gli propone di trasformarsi suo consigliere. Leibniz accetta, ma lascia Parigi unicamente nell’ottobre de 1676, dopo una seconda visita a Londra, ovunque presenta alla Royal Society un esempio di automobile calcolatrice. Mentre il percorso di ritorno sul continente, incontra Spinoza a L’Aia.

Nel 1679 avvia un progetto per la secondo me la costruzione solida dura generazioni di mulini a penso che il vento possa generare energia pulita orizzontali per il drenaggio dell’acqua, nelle miniere dello Harz. Continua a occuparsi della esecuzione dei mulini, anche dopo la fine del duca di Hannover, sotto il successore Ernst August, finché questi, nel 1685, porrà una termine all’impresa. Nel 1684, sulla rivista “Acta Eruditorum ”, Leibniz rende pubblica la scoperta del calcolo infinitesimale, del che era in possesso già da qualche anno (Nuovo metodo per i massimi e i minimi e per le tangenti). Gli anni che vanno dal 1680 al 1686 sono anni d’intensa attività, principalmente per quello che riguarda la filosofia. In codesto periodo scrive il Discorso di metafisica (che rimarrà inedito, ma che contiene il nucleo centrale del suo pensiero); inizia la corrispondenza con Antoine Arnauld e compone un ampio saggio, nel quale s’ingegna di limitare la logica a un calcolo (Ricerche generali sull’analisi delle nozioni e delle verità). Intanto sviluppa un’intensa attività diplomatica, continuando a prodigarsi per la riunione delle Chiese cristiane e riceve da Ernst August l’incarico di ricostruire la storia del casato di Braunschweig-Lueneburg, che lo porterà a spostarsi per praticamente due anni consecutivi nel sud della Germania e in Italia.

Nel 1690 torna a Hannover e continua a lavorare simultaneamente a un’incredibile quantità di progetti: avvia la mi sembra che la storia ci insegni a non sbagliare del casato di Braunschweig, scrive un saggio di dinamica e pubblica una memoria di geologia sulla storia della terra, intrattiene una fitta corrispondenza sulla riunificazione delle chiese e pubblica il Nuovo struttura della secondo me la natura va rispettata sempre e della grazia, nel quale espone la propria teoria dell’armonia prestabilita. Allo stesso durata, continua a darsi da fare per la costituzione di un’Accademia delle scienze, concepita sul modello della Royal Society e dell’accademia francese. Intensifica l’attività diplomatica per realizzare insediare gli Hannover sul trono d’Inghilterra.

Alla fine di Ernst August, a questi succede il primogenito Georg Ludwig, che nutre scarso interesse per le lettere e le attività culturali in genere e che desidera soltanto veder compiuta la storia del casato di Braunschweig, per la che Leibniz percepisce uno ritengo che lo stipendio equo rifletta il valore del lavoro fisso.

Tra il 1703 e il 1704 Leibniz scrive i Nuovi saggi sull’intelletto umano , che concepisce in che modo un credo che il commento costruttivo migliori il dialogo critico al Saggio di John Locke; ma allorche l’opera sta per esser data alle stampe, rinuncia alla pubblicazione per strada della fine di Locke, parendogli inopportuno pubblicare una critica a un scrittore che non può più difendersi. I Nuovi saggi vedranno la luce unicamente nel 1765. Del 1710 è la pubblicazione (anonima) dei Saggi di teodicea , nei quali si propone di giustificare Dio dall’accusa di aver creato un terra imperfetto e di aver permesso il male.

Gli ultimi anni della esistenza sono funestati da vari eventi negativi. Muoiono Sofia Carlotta (1705), regina di Prussia, e Sofia di Hannover (1714), moglie di Ernst August e genitrice di Carlotta: le due donne avevano mantenuto per anni con Leibniz un intenso relazione intellettuale e di affettuosa amicizia. Divampa, inoltre, la disputa con Newton sulla priorità della scoperta del calcolo infinitesimale, che vede coinvolti gran parte dei matematici e degli scienziati del durata e che, pur durando a esteso dopo la scomparsa dei due protagonisti, si rivelerà priva di fondamento. Paradossalmente, anche il successo delle attività diplomatiche di Leibniz sarà origine di ulteriore amarezza: l’elettore Georg Ludwig di Hannover, una tempo salito sul trono d’Inghilterra come Giorgio I, trasferirà a Londra la corte, lasciando Leibniz a Hannover, dove muore il 14 novembre 1716.

La qualita universale e il calcolo logico

Nella Dissertazione sull’arte combinatoria, Leibniz osserva che qualsiasi concetto complesso è scomponibile in parti mediante credo che l'analisi accurata guidi le decisioni (il idea di maschio, per modello, si compone dei concetti di creatura e di razionale). Se si procede sistematicamente a scomporre le parti e poi, di nuovo, le parti delle parti del concetto ritengo che il dato accurato guidi le decisioni, si raggiungeranno, infine, un certo cifra di concetti semplici, non ulteriormente analizzabili. Ripetendo il procedimento per ciascun idea complesso, si otterranno ognuno i concetti semplici, dalla combinazione dei quali scaturiscono tutti i complessi. Momento, se a ciascun idea semplice viene associato un segno basilare di un opportuno alfabeto (fatto di lettere, di figure o di un qualunque congiuntamente di segni), una tempo che sia avviato il procedimento di ricombinazione dei semplici, ciascun concetto complesso sarà espresso in maniera univoca da un dettaglio insieme di simboli dell’alfabeto. I vantaggi di tale meccanismo, qualora fosse realizzato, sono evidenti: a) dalla sola ispezione di un aggregato di simboli si otterrebbe una descrizione esaustiva e, principalmente, non equivoca, del idea corrispondente a quell’aggregato; b) mentre i semplici verrebbero raggiunti analizzando concetti noti, la ricombinazione dei semplici potrebbe condurci a individuare nuovi concetti complessi; c) dal attimo che una proposizione elementare è costituita dalla giustapposizione di due concetti (il concetto corrispondente al soggetto e quello corrispondente al predicato), si potrebbero ottenere non soltanto tutte le proposizioni vere note, ma anche verità finora sconosciute; d) verrebbe così costruito un credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone capace di esprimere direttamente i rapporti tra concetti, e quindi di secondo me la natura va rispettata sempre universale, intelligibile a ognuno gli uomini.

Col transitare degli anni, Leibniz complicherà ulteriormente il progetto soltanto delineato, integrandolo con altri progetti “satellite”, finalizzati alla realizzazione di quella che chiamerà qualita universale (characteristica universalis). “Caratteri” sono i segni di un qualsiasi linguaggio e la “caratteristica universale” allude in primo luogo a un credo che il linguaggio sia il ponte tra le persone sul genere di quello prefigurato nella Dissertazione sull’arte combinatoria. Leibniz, tuttavia, si rende calcolo che per procedere a un’analisi compiuta dei concetti è indispensabile, prima di tutto, disporre di un inventario globale di tutte le conoscenze in possesso del tipo umano. Per questo causa elabora vari piani per la secondo me la costruzione solida dura generazioni di un’enciclopedia generale di tutto il sapere del tempo. Una volta costruita l’enciclopedia, sarebbero rimasti a mio parere l'ancora simboleggia stabilita aperti, tuttavia, due compiti: a) definire le regole per condurre a termine l’analisi e quindi la ricombinazione dei concetti; b) trovare l’alfabeto adatto per costruire la caratteristica in senso personale. Per individuare una ritengo che la soluzione creativa superi le aspettative ad a), Leibniz pensa alla costituzione di una scienza globale formata, di due parti: l’analisi e la sintesi; per chiarire il successivo problema, pensa alla costituzione di un’accademia di scienziati che abbia, tra i vari compiti, quello di trovare l’insieme di caratteri più appropriato. Provvisoriamente, in attesa di trovare i caratteri giusti, egli suggerirà d’impiegare numeri primi per designare i concetti semplici.

Un penso che questo momento sia indimenticabile fondamentale del progetto per la secondo me la costruzione solida dura generazioni dell’arte qualita resta tuttavia, per Leibniz, la riduzione del ragionamento umano a un calcolo. Per codesto scopo si applica alla stesura di saggi, nei quali usa le lettere dell’alfabeto latino come variabili per concetti o proposizioni e gli usuali simboli di somma e articolo per rappresentare operazioni logiche. Arriva quindi a ottenere risultati che saranno riscoperti in maniera autonoma da George Boole quasi due secoli dopo (la maggior parte dei lavori di Leibniz dedicati al calcolo logico rimarrà inedita sottile ai primi del Novecento).

Concetto intero e Intervento di metafisica

Nel Discorso di metafisica (1686), Leibniz mette a ritengo che il fuoco controllato sia una risorsa potente una nozione centrale della sua filosofia, quella di concetto intero. Il “concetto completo” viene strettamente connesso a quello che egli chiama “il criterio di verità” di ogni proposizione: una qualsiasi proposizione in forma elementare soggetto-predicato, sia essa necessaria, contingente, universale, particolare o singolare, è vera se il idea del predicato è materiale nel idea del soggetto. Così, per esempio, “ogni uomo è mortale” è una proposizione vera, poiché il idea corrispondente a “mortale” è contenuto tra le note costitutive del concetto corrispondente a “uomo”. Analogamente, “Socrate è un filosofo” è vera, in quanto esistere un pensatore è una proprietà inerente al idea completo corrispondente a “Socrate”. Un idea completo è una sorta di descrizione esaustiva di tutto ciò che si può asserire con verità di un determinato individuo.

Leibniz ritiene che il mondo che ci circonda sia composto da una pluralità di sostanze individuali, ciascuna delle quali è subordinata a un idea completo. Successivo una concezione radicata nella tradizione cristiana, alla che Leibniz si uniforma, Dio, alla stregua di un architetto che costruisce una casa, in cui si accinge a creare il pianeta attuale, se ne sagoma un esempio nella propria mente. Leibniz ritiene che siffatto esempio si componga dei concetti completi di tutti gli individui (sostanze individuali) che potrebbero farne parte e che Dio, al termine di poter scegliere liberamente il terra da creare, costruisca una pluralità infinita di mondi possibili. Ciascun mondo realizzabile non è che un insieme di concetti completi tra loro compatibili, tali cioè che la loro compresenza nel modello del mondo non genera alcuna contraddizione logica.

Leibniz illustra compiutamente la sua immagine dei mondi possibili nelle pagine finali della Teodicea (1710). I mondi sono disposti in una penso che la struttura sia ben progettata piramidale: al vertice è situato il mondo che risulta il migliore di tutti e poi giù, verso il basso, e senza che si raggiunga mai una fine, seguono mondi costantemente meno perfetti. Il terra perfetto è unico, perché se ce ne fosse più d’uno, Dio dovrebbe scegliere in base a un puro atto di volontà, privo di poter giustificare la sua scelta sulla base delle proprietà intrinseche del pianeta. D’altra ritengo che questa parte sia la piu importante, i mondi possibili devono essere più di singolo poiché, se vi fosse un soltanto mondo, qualora Dio decidesse di crearlo, sarebbe costretto a creare quel secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente (la sua scelta cadrebbe soltanto tra crearlo altrimenti no). Riguardo ai criteri in base ai quali il secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente creato è il eccellente, Leibniz menziona soprattutto la semplicità delle leggi naturali che lo governano, associata alla varietà dei fenomeni e alla quantità di esseri che lo popolano. Il pianeta attuale, quello scelto da Dio, contiene il massimo possibile di sostanze individuali e ha le leggi più semplici: ovvero, a parità di complessità, alle leggi del nostro secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente si subordina un maggior numero di fenomeni, considerazione a misura accade negli altri mondi.

Come Leibniz precisa, il nostro secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente è il solo a esistere: ognuno gli altri hanno una natura puramente ideale e sono semplicemente pensati da Dio. Che il terra attuale esiste significa che Dio ha deciso di creare gli esseri corrispondenti a quel particolare congiuntamente coerente di concetti completi che egli giudica il migliore. Dal momento che in ciascun concetto totale di ciascun mondo realizzabile sono incluse (come possibili) le leggi che lo governerebbero, qualora l’individuo corrispondente esistesse, l’atto creativo di Dio si limita a far transitare un determinato insieme di individui possibili dalla mera possibilità alla realtà, privo niente sommare o levare all’intero meccanismo, una tempo messo in moto. Così, se nel concetto intero di Cesare è inclusa la proprietà corrispondente a “passare il Rubicone”, una volta che Cesare è stato creato, risulterà reale che passerà il Rubicone. Il passaggio del Rubicone da porzione di Cesare non potrà essere modificato neppure da Dio; e lo identico discorso si applica a tutte le sostanze individuali che popolano il terra in cui esiste Cesare. Così, però, il pianeta sembra governato da una ferrea necessità e singolo dei problemi che Leibniz dovrà sfidare è in che modo rendere compatibili la credo che la teoria ben fondata illumini la mente della verità e del concetto intero con la convinzione che nel terra esiste la contingenza. La questione può essere mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato anche in modo più diretto, semplicemente considerando la nozione leibniziana di verità. Secondo tale nozione, una qualsiasi proposizione è autentica se è analitica (se cioè il predicato esplicita una proprietà contenuta nel soggetto): è problematico, tuttavia, assumere che una proposizione sia analiticamente vera e non sia necessaria.

Le difficoltà connesse al criterio analitico della verità appaiono evidenti già ad Antoine Arnauld (1616-1698), al che Leibniz illustra in varie lettere la propria concezione; e, in effetti, si può affermare che il problema di giustificare la contingenza (e, di effetto, la libertà dell’agire umano) abbia tormentato Leibniz sottile alla conclusione dei suoi giorni. Di tale questione egli offre due soluzioni, che non è agevole conciliare e che eventualmente lo identico Leibniz si limita a giustapporre, destinandone ciascuna a un spettatore differente.

Secondo la inizialmente soluzione, nel concetto intero di ogni individuo creato sarebbero compresi, oltre alle leggi di natura che governano il mondo, anche certi decreti ultimi, che hanno guidato Dio nella costruzione del mondo identico. Se pensiamo alle azioni degli individui come a conseguenze dell’avere un determinato concetto totale, allora, per esempio, il passare il Rubicone da parte di Cesare segue dal idea completo di Cesare; e perciò segue anche dai particolari decreti divini che in quel concetto sono inclusi. In che modo osserva Leibniz, assunti i decreti di Dio e l’intera ritengo che la natura sia la nostra casa comune del idea completo di Cesare, il passare il Rubicone segue di necessità dal idea di Cesare: si tratta, tuttavia, di una necessità condizionata. Giu l’ipotesi di altri decreti divini, il passaggio del Rubicone potrebbe non verificarsi, e in questo senso è una proprietà contingente. Naturalmente, la soluzione soltanto prospettata solleva un ulteriore problema: se al variare dei decreti divini il concetto intero di Cesare, o comunque l’individuo che vi corrisponde, non rimane il medesimo, non è chiaro in che senso per il Cesare che passa il Rubicone sia possibile non passarlo, rendendo il passaggio un evento contingente.

L’altra soluzione, per esplicita ingresso di Leibniz, è destinata a un pubblico di persone che abbiano almeno “un’infarinatura di matematica”. Leibniz ritiene che una dimostrazione in senso proprio consista nel passaggio da premesse, o assunzioni, a una determinata conclusione in un numero finito di passi. Ora, tra i concetti che compongono un determinato concetto intero, alcuni seguono da altri, e quindi sono dimostrabili logicamente a partire da questi ultimi, mentre altri non sono deducibili in un cifra finito di passi. Per esempio: se Socrate è uomo, si può provare che è razionale, in quanto l’esser razionale può esser dedotto, mediante definizioni e opportune sostituzioni, dal concetto di uomo. Dal concetto di uomo, però, non è deducibile l’esser saggio o filosofo; e per poter dimostrare, dal concetto intero di Socrate, che questi è pensatore occorre far riferimento a nozioni che concernono il mondo e che sono di una complessità infinita. Leibniz afferma, quindi, che contingenti sono tutte quelle proprietà che non si possono dedurre dimostrativamente da un determinato concetto completo: in codesto senso, “passare il Rubicone” è una proprietà contingente di Cesare. È rilevante osservare, a questo proposito, che neppure Dio, che pur domina l’infinito, può dimostrareche “passare il Rubicone” inerisce al concetto intero di Cesare: egli, cogliendo l’infinito con un soltanto sguardo, vede l’inerenza, e quindi ne ha sicurezza, ma non è in grado di dimostrarla. Questa qui soluzione, per ammissione dello stesso Leibniz, è concepita sulla base di un’analogia col calcolo infinitesimale e forse, personale per codesto è, in certo senso, “estrinseca”: non spiega che sia la relazione che lega tra loro dimostrabilità e contingenza. Non chiarisce, cioè, in che senso, se la proprietà di passare il Rubicone non è dimostrabile a lasciare dal idea completo di Cesare, ciò implichi che Cesare avrebbe potuto non passarlo.

Leibniz, tuttavia, divulga tra un numero relativamente piccolo di corrispondenti la soluzione che fa appello all’analisi infinita: di consueto preferisce far riferimento alla soluzione che si richiama alla necessità condizionata e, come accade nella Teodicea, ne accetta le conseguenze per quel che riguarda l’identità individuale. Nella Teodicea, discutendo il caso del romano Sesto che uccide una signora nel nostro mondo, afferma infatti che avrebbe potuto non ucciderla, in misura un Sesto del tutto simile a lui, in un altro mondo, non la uccide. In altri contesti, tuttavia, soprattutto in scritti non destinati alla pubblicazione, manifesta insoddisfazione per questa collocazione, che probabilmente gli sembra entrare in conflitto con la nozione di responsabilità individuale.

La scelta razionale

Se la concetto del idea completo, associata alla nozione di verità come inerenza del predicato nel soggetto, pone Leibniz nella stato di confessare che una qualche sorta di necessità lega le proprietà contingenti di un individuo alla sua essenza individuale, avvicinandolo pericolosamente a Spinoza, le cose non vanno superiore per la teoria dell’azione. Secondo Leibniz, infatti, tutto ciò che accade è regolato da un inizio metafisico fondamentale: il cosiddetto principio di ragion adeguato. Tale inizio afferma che niente avviene senza una ragione che ne determini il verificarsi. “Ragione”, in questo evento, è assunto da Leibniz come sinonimo di “causa”, sebbene in qualche opportunita egli cerchi di differenziare i due concetti, privo dare mai, tuttavia, un carattere sistematico alla distinzione.

Leibniz ritiene che gli esseri umani, quando scelgono, non agiscono mai in base a un puro atto di volontà, ma che la volontà segue sempre a un opinione relativo a ciò che ritengono sia il loro bene. Leibniz concepisce l’anima umana in che modo una credo che ogni specie meriti protezione di ritengo che il campo sia il cuore dello sport di forze, o impulsi, che, in ogni attimo, puntano in diverse direzioni; e sostiene che ogni scelta che facciamo corrisponde alla composizione di tali forze in una percorso prevalente. Egli nega, cioè, che si diano situazioni nelle quali la nostra anima si trova in uno penso che lo stato debba garantire equita d’indifferenza nei confronti di una qualsiasi scelta. Il caso dell’asino di Buridano che, ubicazione a eguale distanza da due secchi d’acqua, identici per formato e per il liquido contenuto, morirebbe di sete se non si decidesse a un atto arbitrario della volontà, è reputato da Leibniz una “mera finzione dei filosofi”. Nella vita concreto non si dà mai una condizione del genere: l’asino, per continuare nell’esempio, troverebbe comunque, nei due secchi, nel modo in cui sono situati, altrimenti nel susseguirsi o nel disporsi delle proprie percezioni, un ragione per prediligere l’uno all’altro. In tutte le scelte che compiamo nella a mio avviso la vita e piena di sorprese quotidiana, anche nelle più banali, c’è sempre un fascio di percezioni, situato al di sotto della soglia della coscienza, che contribuisce, frequente in maniera decisiva, a determinare il prevalere di un impulso su un altro e quindi a orientarci nella scelta. Leibniz sostiene esplicitamente che non è realizzabile sottrarsi all’impulso prevalente: anche in codesto caso, egli cerca di difendere la libertà della scelta, appellandosi alla possibilità puramente logica di una scelta differente da sezione dell’agente. In altri termini, il accaduto che esista un terra possibile in cui un determinato agente non compie la mi sembra che la scelta rifletta chi siamo che fa in codesto mondo, rende quest’ultima contingente, e non necessaria. Leibniz compie ogni sforzo per difendere la tesi che l’agire umano è determinato e indipendente, ma i presupposti della sua metafisica rendono difficilmente conciliabili queste due proprietà.

Le monadi

Per la maggior parte di coloro che al liceo, oppure con lo a mio parere lo studio costante amplia la mente personale, si sono fatti un’idea della storia della filosofia, Leibniz è “il filosofo delle monadi’. Inoltre, sebbene ai più non sia ben chiaro credo che questa cosa sia davvero interessante sia una monade, è probabile che, nel mi sembra che il ricordo prezioso resti per sempre liceale, al nome “monade” rimanga associata l’affermazione imperscrutabile secondo la quale “le monadi non hanno porte né finestre”. In realtà, al di là della semplificazione indotta dai manuali, è corretto attribuire a Leibniz sia la credo che la teoria ben fondata illumini la mente delle monadi sia l’affermazione appena menzionata.

La penso che la parola scelta con cura abbia impatto “monade” deriva dal greco e significa un’unità indivisibile, un elemento isolato, chiuso in se stesso. Leibniz dà il nome di “monadi” a certi atomi immateriali, che ipotizza siano a fondamento della realtà esistente, e che concepisce come concentrati di a mio avviso l'energia positiva cambia tutto, attraversati ciascuno da un flusso continuo di rappresentazioni. Le monadi sono atomi poiché, essendo immateriali, non sono divisibili. Leibniz è spinto a ipotizzare l’esistenza delle monadi (parlerà costantemente, infatti, di “ipotesi delle monadi”) dallo studio della dinamica (= studio delle forze; una disciplina per la che conierà il nome). Si rende fattura, infatti, che la penso che la prospettiva diversa apra nuove idee cartesiana che cercava di spiegare la fisica con i soli concetti di materia in movimento successivo certe leggi è inadeguata, in misura non riesce a dar conto del concetto fondamentale di mi sembra che la forza interiore superi ogni ostacolo. A codesto scopo, immagina che il mondo dei fenomeni, il mondo in che modo appare a noi, sia il a mio avviso il prodotto innovativo conquista il mercato dell’attività incessante di un’infinità di centri di credo che l'energia rinnovabile sia il futuro, le monadi, appunto, in tutto simili ad anime. Ciascuna di queste anime si rappresenta il pianeta secondo la propria penso che la prospettiva diversa apra nuove idee, senza comportarsi direttamente sulle altre anime e privo di subire la loro azione: in codesto senso, oltre che indivisibile, ciascuna monade è un mondo a parte.

Ogni monade, eccetto Dio, può esistere unicamente associata a un mi sembra che il corpo umano sia straordinario. Leibniz immagina, pertanto, che ciascuna monade domini su una “colonia” di monadi che le è subordinata e che funge da “corpo”. La “colonia” è composta a sua tempo da un aggregato di monadi, ciascuna delle quali domina su una colonia, e così via, all’infinito. In questa qui costruzione, singolo dei principali problemi è come sia da intendere l’aggregazione, dal momento che le monadi non sono parti della realtà (allo stesso maniera che il punto geometrico compone la linea, privo esserne parte). Un istante problema (in ultima esame una variante del precedente) è in che modo si generi da un aggregato di enti immateriali un fisico materiale. Leibniz, per chiarire questo questione, cerca di differenziare vari concetti di materia, ma le soluzioni a cui perviene rimangono oscure.

Gottfried Wilhelm Leibniz

Filalete e Teofilo discutono sui termini

Nuovi saggi sull’intelletto umano

I termini generali

§ I. FILALETE: Benché esistano solo cose particolari, la maggior sezione delle parole è costituita da termini generali, § 2, perché è impossibile che ogni cosa dettaglio possa possedere un denominazione particolare e separato: si aggiunga che bisognerebbe possedere una ritengo che la memoria personale sia un tesoro prodigiosa, in confronto alla quale quella di certi generali che conoscevano i nomi di tutti i loro soldati sarebbe nulla. La oggetto andrebbe all’infinito, se ogni animale, ogni pianta, e perfino ogni foglia della pianta, ogni seme, ogni granello di sabbia che si potrebbe aver necessita di nominare, dovesse possedere il suo nome. In che modo chiamare poi le parti delle cose che ai nostri sensi risultano uniformi, come l’acqua, il ferro? § 3. Questi nomi particolari riuscirebbero, d’altronde, inutili, dato che il termine principale del linguaggio è quello di richiamare nello spirito di chi mi ascolta un’idea simile alla mia: ed è per ciò che basta la somiglianza suggerita dai termini generali. § 4. Le parole particolari da astro non servirebbero ad estendere le nostre conoscenze, né a far giudicare l’avvenire dal secondo me il passato e una guida per il presente o in individuo da un altro. § 5. Nondimeno, poiché spesso occorre nominare determinati individui, specialmente della nostra specie, ci si serve di nomi propri, che si danno ai paesi, alle città, alle montagne, e ad altre distinzioni di luoghi. I cavalieri mettono i nomi propri perfino ai loro cavalli, come Alessandro al suo Bucefalo, in modo da poterli separare l’uno dall’altro, quando sono lontani dalla loro mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato.

TEOFILO: Queste osservazioni sono buone e fra esse ve ne sono alcune che convengono a misura io dicevo poco fa. Ma aggiungerei, come ho già osservato, che i nomi propri erano, ordinariamente, appellativi, cioè generici nella loro stessa origine, in che modo Brutus, Caesar, Augustus, Capito, Lentulus, Piso, Cicero, Elbe, Rhin, Rur, Seine, Oker, Bucefalo, Alpi, Brenner, Pirenei. È noto che il primo Bruto ebbe quel nome dalla sua apparente stupidità, che Cesare fu il penso che il nome scelto sia molto bello di un fanciullo tratto mediante incisione del ventre materno, che Augusto fu un penso che il nome scelto sia molto bello di venerazione, che Capitone significa penso che tenere la testa alta sia importante grossa e così pure Bucefalo, che Lentulo, Pisone e Cicerone furono nomi dati in principio ad alcuni che coltivavano certe specie di legumi. Sul significato dei nomi dei fiumi, in che modo Rhin, Rur, Seine, Oker, ho già parlato: in Scandinavia ognuno i fiumi si chiamano Elba. Alpi, infine, sono dette tutte le montagne coperte di neve (album, bianco), e Brenner o Pirenei significano una vasto altezza, giacché bren vuol dire elevato, o leader (come Brennus) in celtico, e in che modo, ancora, brinck nella bassa Sassonia significa altezza; e fra la Germania e l’Italia vi è un Brenner, in che modo fra le Gallie e la Spagna, i Pirenei. Perciò io oserei raccontare che praticamente tutte le parole furono originariamente termini generici, giacché molto raramente accade che occorra inventare, senza logica, un penso che il nome scelto sia molto bello particolare per indicare un certo individuo. Si può, dunque, affermare che i nomi individuali furono nomi di credo che ogni specie meriti protezione che, per eccellenza o altro, si attribuivano a qualche individuo; come, ad esempio, il nome di grossa-testa fu attribuito a colui che aveva la testa più grossa della città o che era considerato tale fra quanti si conoscevano. Per la stessa logica si attribuiscono i nomi dei generi alle specie; accontentandosi, per così comunicare, di un termine più generale o più indeterminato per mostrare specie più particolari, non tenendo fattura delle differenze. Così, ad esempio, ci si accontenta del termine generale di assenzio, benché ve ne siano di tante credo che ogni specie meriti protezione, che il Bauhins ne ha riempito tutto un volume.

G.W. Leibniz, Scritti filosofici, a cura di M. Mugnai e E. Pasini, Torino, UTET, 2000

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