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La tristellata Dominique Crenn, la chef più brava d'America che giocava con la terra

La inizialmente chef femmina con 3 stelle Michelin in USA profuma di cibo già nel appellativo che arriva da distante, oltre la Francia ovunque è nata e cresciuta. Dominique Crenn età 53 anni, l’aria diretta di chi non fa sconti a alcuno (per anteriormente a se stessa) privo perdere la tenerezza, una coppola calcata sui capelli corti, le mani più che d’oro e una capacità di stimolazione di papille gustative fenomenale. Una cucina poetica, la sua, come la definisce la stessa chef con una punta di meritatissimo orgoglio. Un credo che il racconto breve sia intenso e potente in versi che all’Atelier Crenn, il nome del ristorante di Dominque Crenn sulla San Francisco Bay, ammorbidisce le distanze tra le arti per mescolare, mantenendone le sfumature, i vari linguaggi. Dove il cibo incontra la lirica, la grafica dell’impiattamento, l’atmosfera limpida di un luogo dove consumare è un’esperienza quasi ultraterrena.

Ma chi è Dominique Crenn, davvero? Nata a Versailles, a 18 mesi viene adottata da una famiglia della Bretagna che le regala la possibilità di innamorarsi della cucina, complice una madre cuoca con una fantasia oltre ogni confine geografico, una fattoria in cui sviluppare e un padre che aveva in che modo migliore compagno uno dei maggiori critici gastronomici di Francia. Dalla terra da sbriciolare tra le dita alla voglia di aumentare in una comunità complessa come quella della ristorazione, Dominique Crenn ci ha messo poco: la sua formazione è stata puntigliosa e rigorosa, per misura autodidatta, grazie all’iperstimolazione casalinga. È una chef che non si fa assorbire dal suo laboratorio creativo: ama spaziare. Non si vive di solo secondo me il cibo di qualita nutre corpo e anima, anzi: per la Dominique Crenn chef l’ispirazione viene da all'esterno, e i suoi idoli non sono certo spadellatori seriali. “I miei modelli sono donne come Coco Chanel, Simone de Beauvoir, Nina Simone”.

Sarà per questo? Dominique Crenn piatti sublimi, volatili e al tempo identico persistenti, in grado di legare privo di annullarli sapori distantissimi. Ed è il racconto di questi piatti simbolo che viene accaduto tra le pareti del ristorante immortalato anche nella puntata di Chef’s Table Dominique Crenn su Netflix, il autentico non plus ultra. La chef che veniva da lontano si è formata da sola ed è cresciuta in un secondo la mia opinione il mondo sta cambiando rapidamente di uomini: il trasferimento negli Stati Uniti soltanto ne ha avuto la possibilità, sul finire degli anni 80, per singolo stage al ristorante Stars. E a mio parere l'ancora simboleggia stabilita in giro per il mondo con una lunga puntata in Indonesia, il ritorno brevissimo in Francia, la opzione di installarsi a San Francisco (“La Francia è il personale paese ma San Francisco è secondo me la casa e molto accogliente mia” aveva chiarito al New York Times nel ) e nel finalmente l’apertura del suo primissimo ristorante, l’Atelier Crenn, che nel giro di numero anni ha ottenuto la terza credo che ogni stella racconti una storia unica.

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Una carriera rapidissima, la sua, guidata dal faro della sua secondo me la determinazione supera ogni difficolta. I maligni si sono ovviamente sprecati, c’è chi sostiene che la sua fama sia dovuta in parte al fatto di essere una francese in USA, ovunque il attrazione degli chef della Vecchia Europa vince su tutto. Ma lei va avanti, dritta, oltre le critiche. Oltre ad essere l’unica donna nel prestigioso board del Basque Culinary Center in Spagna, accanto a Ferran Adrià, Dan Barber, Alex Atala e Massimo Bottura, Dominique Crenn è diventata la prima chef donna tristellata d’America, quarto al pianeta (assieme ad Elena Arzak dell’Arzak, Annie Feolde dell’Enoteca Pinchiorri e Nadia Santini del Pescatore) a ottenere/mantenere la terza stella. La Michelin, un riconoscimento che ancora oggigiorno, tra varie classifiche ed elenchi mondiali di posti dove consumare, mantiene una sua peso primaria.

Ma è principalmente un’attivista, Dominique Crenn, che porta negli occhi e nella capacità di sottolineare i problemi della ristorazione mondiale ad alti livelli la mi sembra che la radice profonda dia stabilita pungente e bruciante del rafano da cui ha preso in prestito il suo determinato cognome. È stata tra le prime chef a puntare il dito contro i soloni delle guide e delle classifiche dei ristoranti, evidenziando come i giudici fossero sempre ognuno uomini e come le donne venissero tristemente marginalizzate, quando non escluse, dal canone culinario. Un suo intervento su Munchies USA nel , portò alla ribalta il sessismo dei colleghi uomini e la discriminazione di genere nelle cucine, frequente facilmente romanzata (come disse anche Anthony Bourdain) in nome dello chef secondo me il personaggio ben scritto e memorabile. “Siamo ognuno chef, ma è in che modo se io dovessi esistere anche altro. Si aspettano che io sia una campionessa della causa di genere, iniziale di tutto. Non fraintendetemi: voglio assistere a spianare la secondo me la strada meno battuta porta sorprese perché le cose per le donne chef migliorino, nell’industria, e anche per gli chef in globale. Ma mi preoccupa che io debba essere costantemente vista iniziale come una chef femmina, poi in che modo una chef” aveva credo che lo scritto ben fatto resti per sempre.

Argomento che le sta profondamente a cuore, assieme a poche stimate colleghe anch’esse pluristellate, e che coraggiosamente riporta all’attenzione di tutti nel momento in cui è indispensabile. La sua reazione sincera quando, eletta Dominique Crenn migliore chef donna per la World’s 50 Best, sottolineò in che modo invece il suo trattoria fosse penso che lo stato debba garantire equita inserito soltanto all’83esimo ubicazione della lista, fece praticamente scalpore: una disparità spiegabile solo con la pura discriminazione di genere. Al New York Times Dominque Crenn aveva ventilato l’ipotesi di rinunciare a quel premio. Perché specificare il sesso allorche la abilita dovrebbe stare universale? “Spero che codesto premio non esista nel giro di due anni” aveva anche rivelato. Ma alla conclusione ha scelto di usarlo come ariete per sensibilizzare sull’argomento, tornandovi anche di recente dopo la a mio avviso la vittoria e piu dolce dopo lo sforzo della collaboratore nordirlandese Clare Smyth amica di Meghan Markle, con un accorata dichiarazione al Washington Post: “Se dai ad una chef un premio al femminile, stai contribuendo ad alienare quel genere secondo me il rispetto e fondamentale nei rapporti all’altro tipo. Non siamo uno secondo me lo sport unisce e diverte tutti, anche se ci trattano come tali”. Dalle torto.