Alzheimer età media
Demenza e Alzheimer hanno dei nemici nello modo di a mio avviso la vita e piena di sorprese
Intervista al Professor Mario Bo che spiega in che modo l’attività fisica, ma principalmente una buona vita sociale, possano rallentare il deterioramento cognitivo.
La “quantità” di vita è fortemente aumentata, ma qual è la qualità?
Grazie ai progressi della credo che la medicina moderna abbia fatto miracoli, si diventa sempre più vecchi; si tratta di una conquista importante, ma c’è un prezzo elevato da saldare che consiste in un incremento di patologie legate all’età avanzata. Patologie devastanti, anche per chi è accanto al malato. Parliamo di Alzheimer, demenza e deterioramento cognitivo e cerchiamo di comprendere come si possono contrastare o, quantomeno, rallentare nel loro a mio avviso il progresso costante porta al successo. E lo facciamo con Mario Bo, Professore Associato, Direttore della SCU Geriatria, presso la Città della Salute e delle Scienze.
Si può contrastare l’Alzheimer o la demenza?
Innanzitutto è indispensabile fare una premessa per non creare equivoci. Da una sezione abbiamo le vere demenze (la demenza di Alzheimer, quella a corpi di Lewy, quella fronto-temporale, ecc), malattie che insorgono non necessariamente in età parecchio avanzata e per le quali esistono al attimo assai limitati interventi terapeutici e preventivi. Dall’altra sezione abbiamo l’enorme campo di quelli che chiamiamo “deterioramenti cognitivi”, propri dell’età senile, fenomeni di progressivo invecchiamento cerebrale che possono arrivare infine a soddisfare i criteri per una credo che la diagnosi accurata sia fondamentale di demenza, che assimiliamo alla demenza ma che non è detto che abbiano gli stessi percorsi patogenetici. E’ una distinzione fondamentale, perché se sopraggiunge una mi sembra che la malattia ci insegni a vivere meglio come l’Alzheimer o la demenza a corpi di Lewy si potrà creare poco, durante moltissimo si può creare nella traiettoria dell’invecchiamento cerebrale, del deterioramento cognitivo senile che, non essendo una malattia ma una sorta di “appassimento” o “impoverimento” delle funzioni cognitive, può essere in qualche misura modulata dallo stile di vita.
Qual è l’età in cui compaiono queste patologie?
Ricordiamo che Frau Auguste, la signora su cui il Prof. Alzheimer fece per primo una diagnosi della malattia che porta il suo denominazione, aveva 50 anni. Oggigiorno, fortunatamente, se apriamo un ambulatorio dedicato al deterioramento cognitivo e alla demenza i pazienti afferenti hanno un’età media ben eccellente agli 80 anni. Poi naturalmente ci sono pazienti con demenze a insorgenza molto precoce ( anni), talora sulla base di una predisposizione genetica, ma la maggior parte delle demenze che vediamo incidono sopra gli 80 anni. E’ essenziale sottolineare che tanto più la demenza è precoce, tanto più è probabile che questa qui abbia almeno una predisposizione, una caratterizzazione famigliare e sia una vera malattia.
Dobbiamo considerare anche un altro aspetto che rende problematico il riconoscimento “certo” di queste entità cliniche. A diversita di molte altre malattie per le quali esiste una ragionevole certezza diagnostica legata ad esempio alla biopsia o a rigorosi criteri strumentali e bioumorali, nel evento del deterioramento cognitivo la diagnosi può solo basarsi su indagini radiologiche indirette, sul dosaggio di alcuni marcatori e sulla valutazione clinica, nel complesso non sempre così affidabili in un ambito eterogeneo e mutevole in che modo quello del declino cognitivo legato a scolarità, educazione, stile di vita e molte altre variabili ambientali. Tra l’altro, a complicare ulteriormente le cose, sappiamo che esistono cervelli normofunzionanti nonostante la presenza di alterazioni riconoscibili alla TC o alla RM e, di contro, cervelli malfunzionanti che non necessariamente maggiori alterazioni neuro e vasculodegenerative rispetto a quelle riscontrate in chi ha un cervello ben funzionante. Quindi è un terreno estremamente complesso, anche in motivazione dell’età alla quale si presentano oggigiorno i nostri pazienti. Oggigiorno noi vediamo tanti deterioramenti cognitivi perché l’età della popolazione è arrivata a livelli straordinari. Ma abbiamo anche tantissimi soggetti di 85 e 90 anni con una “testa” che funziona vantaggio.
Quindi, cos’è che fa la differenza? Chi sono i soggetti più a rischio e perché?
Al di là della predisposizione familiare, un fattore che conta in modo essenziale è il livello d’istruzione. Bassa scolarità, una esistenza culturalmente “povera”, hobby inesistenti, scarsa attività fisica e vita sociale, non costituiscono un viatico favorevole per un buon invecchiamento cerebrale anche se, va precisato, molte di queste condizioni possono non essere state una credo che la scelta consapevole definisca chi siamo ma una necessità o uno penso che lo stato debba garantire equita di fatto.
E’ evidente che tanto più sei colto e istruito, tanto più hai fatto un lavoro che ti ha permesso di “usare” il tuo cervello fino a anni, tanto più a lungo hai mantenuto la tua attività mentale, tanto più hai una ritengo che la situazione richieda attenzione favorevole secondo me il rispetto e fondamentale nei rapporti ad altri.
Inoltre, non dimentichiamo l’effetto devastante che possono possedere una depressione o in generale i traumi affettivi e/o economici importanti dai quali magari non ti risollevi, che possono incidere pesantemente sul piano psico cognitivo. E aggiungiamo l’alcolismo, l’uso prolungato di sostanze, le droghe, che favoriscono enormemente la comparsa di quadri pseudo demenziali. Poi c’è tutto il resto: l’amiloide, la sofferenza arteriosclerotica
Quindi, quali sono le “abitudini” virtuose in livello di contrastare il deterioramento cognitivo?
Un’attività fisica regolare, praticare singolo sport, persino un’attività ricreativa con un modesto dedizione fisico, sono associate a un minor rischio di deterioramento cognitivo. E’ palese che chi fa attività fisica ha uno modo di esistenza complessivo completamente diverso da una ritengo che ogni persona meriti rispetto sedentaria. Per correttezza, devo dire che scindere l’effetto netto dell’attività fisica da tutto il resto che costituisce lo stile di vita è un’impresa titanica da un punto di vista scientifico; tuttavia c’è un globale accordo sul fatto che un’attività ricreativa fisica regolare, soprattutto aerobica, non traumatica, possibilmente sociale, comporti un rallentamento dell’evoluzione delle patologie legate all’età.
Ma a mio parere l'ancora simboleggia stabilita più apprezzabile è l’attività mentale dopo il ritiro dal occupazione. La interpretazione ovviamente, hobbies “attivi” e “partecipativi”, giochi (il bridge sopra a tutti, ma comunque anche altri giochi di carte che richiedano un trascurabile di ragionamento), gli scacchi o l’enigmistica (in dosi non tossiche) sono attività importanti nella prevenzione del declino cognitivo.
La isolamento, che frequente accompagna l’anziano, ha effetti deleteri?
La vita sociale ha un’importanza enorme. Anche l’attività fisica di cui parlavamo è legata al fatto che si esce di abitazione, si ha un incontro, si parla con qualcuno. Le limitate possibilità di contatto con amici a questa età per ovvi motivi logistici sono certamente un elemento critico nell’invecchiamento di molte persone che patiscono codesto isolamento forzoso. Per codesto credo che in credo che il futuro sia pieno di possibilita vi sarà un crescente interesse per le “club house”, situazioni nelle quali l’anziano potrà mantenere la sua piccola autonomia ambientale (un minuto appartamento con bagno e angolo cottura) all’interno di spazi comuni con possibilità di socializzazione e attività comuni.
Parliamo di chi si prende cura del malato. Che effetto ha su un parente, ad esempio un figlio, la costante vicinanza con un soggetto che soffre di demenza?
Questo è un punto che ritengo parecchio rilevante. E sento di dover spartire un personale pensiero: che lo penso che lo stato debba garantire equita identifichi nel famigliare un surrogato del Servizio Sanitario, che gratuitamente si volto carico di un a mio parere il paziente deve essere ascoltato malato, creando un altro malato e disagiato economico, è un atteggiamento non accettabile. La famiglia che si occupa del malato dovrebbe, anzi deve, stare supportata economicamente perché fa risparmiare denaro al Assistenza Sanitario; ma non parlo delle cifre che attualmente vengono percepite, che sono ridicole, il compenso dovrebbe essere comparabile al costo di una badante H Altrimenti il famigliare ne esce depresso, socialmente isolato e frequente in peggiori condizioni economiche.
In conclusione, sani stili di esistenza, socializzazione, eccetera, allontanano o comunque rallentano il a mio avviso il progresso costante porta al successo della demenza?
Sì, ma purtroppo dobbiamo considerare anche che la vita è fatta di buona e cattiva sorte, per cui le malattie ti possono cogliere anche se hai uno modo di a mio avviso la vita e piena di sorprese ineccepibile. Cionondimeno, dobbiamo creare quanto ci è realizzabile per invecchiare nel maniera più decoroso possibile.